Ero a casa, credo. Mi chiama Gabriele. Propone di andarcene a cena fuori. Accetto. Poco dopo passa a prendermi; in macchina ci sono anche Emanuele, forse Alberto (seduti dietro) e sul sedile dove dovrò sedermi anche io, Giuseppe. Ci stringiamo un po’, io e Giuseppe e si parte.
Inizialmente tutto tranquillo. Strada dritta, niente traffico. Poi cominciamo ad addentrarci in un traffico un po’ più intenso. Tutto sommato la strada è ancora dritta, ma non è più così semplice per me capire quale sia la via per tornare indietro. Il tragitto si fa lungo…comincio a preoccuparmi.
Gabriele devia e comincia a salire lungo una strada laterale. Controllo che sia a doppio senso, la cosa mi tranquillizza…ma sembra una strada di campagna…e comincio a temere che sarà complicato tornare indietro. Chiedo a Gabriele dove sia il ristorante…nessuno lo sa di preciso, conoscono la via, ma non esattamente come arrivarci. L’ansia sale. Spiego la situazione agli altri. Emanuele è molto comprensivo, anche Alberto non fa problemi. Giuseppe addirittura mi stringe la mano! Gabriele sembra non capire molto, ma non sembra scocciato, anche se io mi sento un po’ in colpa. Arriviamo ad una piccola città e ci fermiamo a chiedere informazioni. Parliamo con un fabbro, che dice cose strane, e fa allusioni che nessuno di noi comprende, ma che al contempo non ci piacciono. Dentro di me penso “perché non gli chiediamo dove sia un buon ristorante nei paraggi, senza allontanarci ulteriormente?” ma non dico nulla. Pare che comunque manchi poco, spero di resistere.
La strada adesso è decisamente una stradina di campagna, passiamo in mezzo all’erba alta e seccata dal sole estivo, papaveri e alberi d’ulivo. Incontriamo una ragazza che scende a piedi lungo il sentiero. Tutto sommato questo paesaggio mi piace, mi regala un po’ di sollievo.
Arrivati in cima, una visione stranissima. Di fronte a noi una sorta di grande altipiano, un paesaggio mozzafiato. Penso di prendere la mia digitale per scattare qualche foto. A sinistra una specie di ingresso, l’erba sembra tramutarsi in moquette, e oltre l’ingresso si intravede un paesaggio casalingo, forse la stanza di un bambino, c’è un orsacchiotto di pezza. Le proporzioni perà sono falsate…è un GRANDE ingresso, noi siamo un po’ piccoli a confronto.
Squilla il telefono e mi sveglio.
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